Muoversi 2 2023
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IL CORTO CIRCUITO SUI SUSSIDI  

IL CORTO CIRCUITO SUI SUSSIDI 

di Davide Tabarelli

Davide Tabarelli

Presidente Nomisma Energia

Nello scontro, a volte battaglia, con gli ambientalisti, quello dei sussidi ai fossili è uno dei campi dove gli economisti vincono facile, perché le assunzioni alla base dei calcoli sono molto deboli. Tuttavia, i contabili devono stare attenti, perché di sussidi ai fossili parlano le grandi Istituzioni internazionali, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’OCSE, la Banca Mondiale, tutti organi potenti della politica internazionale, rigorosamente guidati da economisti, non da architetti o filosofi come accade per le associazioni degli ambientalisti. Il sussidio ai fossili nasce proprio nel contesto internazionale, dagli studi riferiti ai Paesi produttori di petrolio, quelli che navigano letteralmente nel petrolio e che da sempre fanno prezzi dei derivati del barile estremamente bassi, a volte vicino allo zero.

Nello scontro, a volte battaglia, con gli ambientalisti, quello dei sussidi ai fossili è uno dei campi dove gli economisti vincono facile, perché le assunzioni alla base dei calcoli sono molto deboli

Il Venezuela spicca fra tutti, perché è quello con le riserve più grandi al mondo, ma è anche quello dove più fallimentare è stato lo sfruttamento del petrolio, con prezzi alla pompa della benzina di pochi centesimi al litro, cosa che serve a poco per un paese con milioni di abitanti che fanno la fame. 

Prezzi più alti sono quelli dei paesi del Golfo Persico, oppure quelli in Africa, ma sempre a livelli di molto inferiori a quelli dei paesi industrializzati. Il ragionamento della filosofia del sussidio è che il prezzo internazionale del petrolio, quello a cui esportano i Paesi produttori, giustificherebbe prezzi interni della benzina di molto più alti. Ad esempio, ad inizio 2023, con il petrolio poco sopra gli 80 dollari/barile e con un prezzo spot della benzina a 850 dollari/tonnellata, il prezzo alla pompa avrebbe dovuto essere almeno di 70 centesimi di euro/litro, per altro senza alcuna forma di tassazione. Siccome molti Paesi produttori decidono che il prezzo delle loro risorse, in questo caso la benzina, può essere più basso, vicino ai costi di produzione, allora gli organismi internazionali tacciano la differenza come sussidio agli sporchi fossili. Sotto il profilo strettamente etico, che non è mai questione marginale per l’economia, ogni Paese, in particolare se non particolarmente ricco, decide da solo cosa farne delle proprie risorse e come fissarne il prezzo nei suoi confini. Certo, vedere che la benzina praticamente non viene fatta pagare in Venezuela è follia, ma, allo stesso modo, è esagerato considerare sbagliato il fatto che l’Iran o l’Egitto, che hanno molti problemi, applichino prezzi bassi rispetto a quelli internazionali. È forse il mercato internazionale, dove si forma la quotazione del petrolio, il giudice supremo del giusto prezzo? È  giusto il prezzo attuale di 85 dollari, oppure era giusto quello del gennaio 2016 di 28, o quello di 140 del luglio 2008?

Nel tempo questo ragionamento dai Paesi produttori è stato esteso ai consumatori, con il sussidio, però, non stimato in base al prezzo internazionale, ma prendendo a riferimento la tassazione più alta praticata nel singolo Paese. L’Italia è un ottimo esempio, in quanto il sussidio più importante, da circa 4 miliardi di euro all’anno, è lo “sconto” praticato sul gasolio autotrazione rispetto alla tassazione della benzina. La differenza di accisa e di IVA, di tasse, sui due prodotti, è di  circa 14 centesimi di euro/litro, che moltiplicata per gli enormi volumi di gasolio autotrazione consumato in Italia di circa 28 miliardi di litri comporta un valore di 4 miliardi di euro. È una mancata tassazione sul gasolio che diventa, nella logica ambientalista, un sussidio al fossile. A questo si aggiungono gli sconti di accisa su una lunga serie di prodotti, con i più importanti che sono il gasolio pesca e il gasolio agricolo, ma anche la benzina per le autoambulanze, o il cherosene per gli aerei.

È qui che è facile trovare un elemento di debolezza nella logica di queste stime, quello relativo al fatto che i fossili contribuiscono, appunto con la tassazione, a volte certamente un po’ agevolata, ad un enorme flusso di risorse per le casse dello Stato. L’Italia, di nuovo è uno dei casi più eclatanti, con entrate ogni anno da tassazione dei derivati del petrolio, la fetta più importante, dell’ordine dei 40 miliardi di euro. Se quelli degli “sconti” sono chiamati sussidi dannosi, allora la tassazione dovrebbe quantomeno ricevere una definizione più positiva, una sorta di riconoscimento come contributo a frenare i consumi, e le emissioni di CO2 e altri inquinanti, e pertanto un aiuto al miglioramento dell’ambiente. Ciò non accade e si preferisce guardare solo alla riduzione rispetto alla massima tassazione che, essendo la più alta, è considerata anche quella giusta a cui dovrebbero tendere tutte le tassazioni di quel paese.

Dei fossili tutti vorremmo fare a meno, fosse facile, e forse un giorno ce la faremo, ma non certo attraverso queste effimere contabilità che servono per facili proclami e per distogliere l’attenzione dei problemi veri, a cominciare delle gigantesche difficoltà a trovarne dei sostituti

Dei fossili tutti vorremmo fare a meno, fosse facile, e forse un giorno ce la faremo, ma non certo attraverso queste effimere contabilità che servono per facili proclami e per distogliere l’attenzione dei problemi veri, a cominciare delle gigantesche difficoltà a trovarne dei sostituti.